Come è iniziata la mia avventura con il Gioco della Trasformazione
Era il 1989 quando, lasciato definitivamente il lavoro, avevo deciso che meritavo di festeggiare l’evento trascorrendo a Findhorn un periodo più lungo della misera settimana che il mio rapporto di lavoro mi aveva concesso sino a quel momento.
E proprio mentre mi trovavo presso la Comunità nacque in me l’idea di partecipare a questo seminario che chiamano “Gioco della Trasformazione”, della durata di una settimana. Sfortunatamente non c’erano posti e mi hanno messo così in lista d’attesa. Un giorno, dopo una meditazione in un piccolo ‘santuario’ nella natura (così a Findhorn chiamano i luoghi dove si va a meditare), prima di rientrare nel mio alloggio ho pensato di andare a verificare se, per caso, fossi finalmente stata inserita tra i possibili giocatori…
Bussai alla porta e, rispondendo ad un sonoro ‘avanti’ entrai. Giusto il tempo di dire ‘Buon giorno’ e l’altra persona — che non conoscevo così come lei non conosceva me — mi disse:
«Sei Isabella Popani? Sai ho appena inserito il tuo nome tra i partecipanti al prossimo Gioco della Trasformazione!»
Immaginate il mio stupore! Finalmente potevo scoprire cos’era questo “gioco” di cui avevo tanto sentito parlare nel corso degli anni. E così è nata la mia avventura con il Gioco — lo scrivo con la lettera maiuscola proprio per il particolare significato che ha per me.
Ero in un particolare momento della mia vita. C’erano tanti cambiamenti, il più grosso dei quali era proprio il fatto di essermi liberata dal mio lavoro d’ufficio, e mi stavo domandando quale fosse il mio prossimo passo. Era forse quello di trasferirmi a Findhorn e pormi al servizio degli ospiti, o degli italiani che periodicamente vi facevano visita? Mi stavano succedendo cose strane, e stavo ricevendo messaggi che avevo paura di interpretare nel modo sbagliato. E poi c’era un’altra cosa che si muoveva dentro di me da anni oramai, ma che non avevo mai avuto il coraggio di affrontare: posso essere amata per quello che sono e non necessariamente per quello che faccio? Questa domanda nascondeva assai chiaramente il fatto che ero io a non amarmi, e che potevo accettare il fatto che gli altri mi amassero solo se ne davo loro motivo.
Per giocare il Gioco della Trasformazione, quello della durata di una settimana, dovevamo avere due propositi di gioco e così decisi di lavorare su questi due obiettivi: imparare ad amarmi per quella che sono (e non per quello che faccio) e capire qualcosa di più sui miei prossimi passi. Cosa mi stava chiedendo l’Angelo di Findhorn con i suoi messaggi?
Dopo aver scelto i propositi di gioco, il passo successivo è quello di nascere e vivere. Ed è proprio nel vivere — che è la stessa cosa di giocare — che si scoprono gli ostacoli che impediscono o rallentano la realizzazione di quei propositi e le risorse che invece ne facilitano l’attuazione.
Quella è stata una delle settimane più intense della mia vita. L’ho giocata fino in fondo, andando oltre ogni mia resistenza, ed ho capito tante cose.
Innanzitutto che il Gioco è uno strumento per conoscersi ed esplorarsi in un ambiente di non giudizio e di rispetto reciproco all’interno di un gruppo limitato di persone (in quella versione di gioco ci sono 5 giocatori e due guide). Il contesto in cui si lavora è non competitivo: non c’è nessuno che vince o che perde, ma ognuno sostiene l’altro nel proprio processo di crescita. Le guide hanno la funzione di condurre i giocatori attraverso le complesse regole del gioco, oltre che fare da vettori dell’energia che viene da quello che chiamiamo “Deva” o Angelo del Gioco.
Insomma, quello che avviene in realtà è che, partendo dall’obiettivo iniziale, ciascuno lavora su di sé per pulire tutto ciò che gli impedisce di realizzarlo ed impara a riconoscere le proprie potenzialità in modo da poterle usare consapevolmente.
L’immediatezza delle risposte è davvero sorprendente. Posso solo dire che in una settimana ho fatto un percorso su di me che in un altro contesto avrebbe potuto richiedere anni di lavoro.
Ma non mi bastava. L’Angelo di Findhorn mi chiamava a lavorare per lui e non capivo come. Decisi di tornare a casa per chiarirmi le idee, ma di tornare nuovamente a Findhorn circa un mese dopo per partecipare al Corso di Formazione per diventare ‘facilitatore’ del Gioco nella sua versione più piccola, quella in scatola.
Fu proprio durante questo corso di formazione che compresi che l’Angelo di Findhorn non mi chiedeva di trasferirmi a Findhorn, ma di portare ovunque io fossi lo stesso modo di crescere che si attua in quel luogo. E, guarda caso, questo era proprio l’obiettivo che si era posta Joy Drake quando, anni prima, aveva concepito il seme di questo Gioco: voleva realizzare uno strumento per riproporre il modello di crescita di Findhorn senza doverci andare a vivere per anni.
Da quella prima esperienza del 1989, Findhorn e il Gioco mi hanno accompagnato e mi seguono ovunque. Essi sono parte di me, della mia crescita e della mia vita e qualunque cosa io faccia, sia che si tratti di un lavoro di gruppo o una sessione individuale, mi offrono l’opportunità di condividermi e di offrire il mio contributo personale all’attuale processo evolutivo che vuole l’essere umano maturo, responsabile, pronto a conoscersi, amarsi ed amare, ad abbandonare il vecchio ed aprirsi al nuovo.
Questo è il richiamo che io sento dalla Vita, che in ogni momento della mia giornata mi chiama e mi chiede: «Vuoi giocare con me?»
Questo è anche un invito a prendermi meno seriamente, poiché mi ricorda che la vita è un gioco!